La consuetudine di assumere piante per integrare l’alimentazione ed aiutare l’organismo a far fronte agli eventi stressanti per la salute, prevedibili e imprevedibili, ha solide radici culturali e scientifiche. Le piante hanno accompagnato l’uomo dalle origini dei tempi sino all’era attuale; l’utilizzo delle piante a scopo salutistico-terapeutico, infatti, precede la comparsa dell’Homo sapiens. Frammenti di polline e di fiori di varie specie (efedra, centaurea, senecio, altea e achillea) sono stati trovati a Shamidar, nel nord dell’Iraq, in sepolture dell’epoca di Neanderthal (circa 60000 anni fa). L’uomo di Similaun, la cui mummia fu ritrovata sulle Alpi, portava con sé frammenti di un fungo, il Pitoporus betulinus (Bull.) Karst., che si ipotizza servisse per curare dai parassiti intestinali .

A un certo punto della storia dell’evoluzione l’uomo ha appreso come trarre vantaggio dell’arsenale di sostanze prodotte dal regno vegetale, usando le piante sia per curare vere e proprie malattie sia per mantenere un migliore controllo dell’omeostasi di numerosi processi fisiologici. In questo modo si difendeva non solo dalle aggressioni di batteri, funghi, sostanze esogene, ecc. ma migliorava il suo stato di salute e le capacità riproduttive. Le prime sperimentazioni sull’uso delle piante, come dei rudimentali trial, sono state probabilmente solo frutto del caso. Si ipotizza che in un periodo di terribile scarsità di cibo i primati, deboli ed affamati, abbiano avuto bisogno di alimentarsi con nuovi vegetali, mai provati prima, ricavandone un percettibile miglioramento delle condizioni di salute, le piante sono poi diventate parte delle abitudini alimentari e utilizzate come cibo o come medicina.

Nei secoli gli uomini hanno sperimentato un vasto numero di piante tra quelle che crescevano nel loro territorio, diverse da un’area all’altra della terra, anche se simili nelle proprietà salutistico-terapeutiche (adattogene, stimolanti, antiparassitarie, antinfiammatorie, ecc.). Lo hanno fatto sotto la spinta di comportamenti innati, appresi per trasmissione di madre in figlio e da una tribù all’altra, e per feed back evoluzionistici positivi che gli permettevano di difendersi meglio nell’interazione con patogeni e sostanze esogene ambientali. In questo ultimo caso, solo le popolazioni che consumavano una determinata pianta, ottenendone una maggiore resistenza ad una malattia, potevano sopravvivere e trasmettere la conoscenza alle generazioni successive perpetuandone l’uso (Hart, 2005 ; Johns, 1990 ).
Le Farmacopee tradizionali dei vari paesi rappresentano l’espressione scritta di questo processo, in continua evoluzione, di scelta e conservazione delle piante da utilizzare. Esse sono il frutto di millenni di osservazioni, a livello di popolazione, dell’ecologia delle piante e dei loro effetti benefici sull’uomo ma anche dei possibili problemi legati ad effetti tossici acuti e cronici.
Sfortunatamente l’avvento della medicina moderna, pur foriero di indubitabili enormi vantaggi per la salute dell’uomo, ha fatto dimenticare molte di queste interessanti e magari preziose conoscenze. È importante pertanto colmare sempre più il divario tra la conoscenza tradizionale delle piante e le conoscenze biomediche moderne se si vuole continuare a migliorare la salute dell’uomo ed incoraggiare la ricerca nel settore.

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